Striscioni, stendardi, le cosiddette pezze, ma anche bandiere, sciarpe, magliette: sono tutti elementi che contribuiscono a costruire il paesaggio linguistico di un luogo, nello specifico, di un stadio. Paesaggio linguistico, definizione adottata dai ricercatori accademici Landry e Bourhis nel 1997 che, con linguistic landscape, si riferirono per la prima volta ai segni comunicativi, di carattere più o meno permanente, esposti all’interno delle aree urbani. Perché ciò che leggiamo camminando lungo le strade di una città racconta molto di quella città. Basti pensare all’Esquilino: è sufficiente passeggiare lungo le strade intorno a piazza Vittorio per rendersi conto, ad esempio, del carattere fortemente multiculturale e multietnico del quartiere di Roma centro. Allo stesso modo striscioni, stendardi e quant’altro contribuiscono a raccontare ciò che significa una città e una squadra per i tifosi che la rappresentano con i loro striscioni.
“Se po’ fa” & “Nun c’è problema”
E l’attenzione oggi la voglio spostare esattamente dentro allo stadio Olimpico, in un settore il cui nome è sinonimo di casa per i tifosi della Roma: la Curva Sud. Perché leggere la Curva Sud significa leggere Roma e la AS Roma, significa respirare Roma e la AS Roma, significa scoprire cosa rappresentano Roma e la AS Roma: in quello spazio che si colora di giallorosso ogni volta che l’AS Roma scende in campo nelle partite casalinghe, infatti, ci sono tanti “segni comunicativi” che rimandano al paesaggio linguistico, ma ce ne sono due in particolare sui quali mi voglio soffermare. Due stendardi storici, che da sempre compaiono in quello spicchio di stadio Olimpico dei tifosi giallorossi: Curva e Distinti Sud. Due stendardi emblematici, significativi, che con sintesi e incisività spiegano tanto di Roma e della AS Roma.
“Se po’ fa”
C’è qualcosa che a Roma non si può fare? Chiaro, tutto ciò che oltrepassa la linea della legalità. Ma per tutto il resto “in qualche modo si fa”, “si risolve”. Risolvere, soluzionare (permettetemi questo calco dallo spagnolo), “trovare un modo per”: atteggiamento che incarna lo spirito della romanità, perché nessun ostacolo è troppo alto, e se non ci arriva da soli magari in due o in tre ci si riesce. Il mutuo sostegno, la disponibilità, la volontà di scavalcare insieme il muro delle difficoltà: una propensione fortemente romana, che non fa alzare subito bandiera bianca davanti a ciò che di primo impatto sembra impossibile. Col sorriso, con ironia, perché sulle cose difficili meglio scherzarci sopra, col cinismo tipicamente romano, che al di fuori spesso viene recepito come spavalderia. Ma non lo è, è un sorriso utile per andare avanti, per ridere anche di ciò che può non andare bene, su ciò che non si può raggiungere. In altri paesi europei se una cosa non si può fare non si può fare, punto. Non c’è neanche da discutere. Ma a Roma no. A Roma prima di dire “no, non si può fare” ce ne vuole: perché prima si tenta con tutte le forze, e poi, alle brutte, si vede.
Ed eccolo questo messaggio che, traslato dalla vita di tutti i giorni al calcio, diventa sprone, incoraggiamento, spinta ad affrontare ogni partita con ottimismo: l’ottimismo del daje se po’ fa, perché se tutti insieme soffiamo dietro alla squadra potremmo riuscire a spingerla più lontano possibile. Quell’ottimismo che esorta a fare sogni proibiti in agosto, che fa essere ben predisposti anche quando le premesse non sono eccellenti. Ma se po’ fa, andiamo, niente bronci, niente amarezze, niente mai ‘na gioia anticipati: andiamo, coraggiosi e fieri, perché insieme se po’ davvero fa. Espressione che, inoltre, si traduce anche in un altro atteggiamento: godere di tutto, godersi tutto, ogni singolo istante, ogni momento in cui si è in gioco. Sfruttare al massimo ciò che sportivamente accade, approcciare con consapevolezza ogni impegno, ogni ostacolo, ogni squadra avversaria.
E se poi non se fa?
“Nun c’è problema”. Perché poi, alla fine, se non ci si riesce che problema c’è: non ci sei riuscito, fine, ci si riproverà. Ma senza rompersi la testa, senza massacrarsi più di tanto di recriminazioni: ci sarà un’altra occasione e, statene certi, ci si riproverà. Perché alla fine in una società che da anni inculca modelli che propongono esclusivamente la cultura del successo, della vittoria a tutti i costi, modelli che escludono a priori la sconfitta e che vedono nel fallimento un punto di non ritorno, c’è ancora chi invece si ricorda che siamo umani, coi nostri limiti e limitazioni, e che fallire è un verbo che probabilmente andrebbe cancellato dal nostro dizionario. Non è la filosofia dell’importante è partecipare, no, assolutamente: è la filosofia dell’andiamo con tutte le nostre forze, proviamoci con tutte le energie disponibili, tentiamo fino alla ultima goccia di sudore, usciamo esausti dalla “battaglia”. Ma se poi il risultato non dovesse essere quello sperato, pazienza, ci sarà un’altra possibilità, si torna a casa con la consapevolezza di aver dato tutto, di aver lasciato sul campo anche gli ultimi grammi di forze.
Ed è esattamente in questo modo che, poi, ci si prepara per la prossima “battaglia”, una nuova “battaglia”, quella che di nuovo “se po’ fa”.