Ricordo con particolare nostalgia i primi anni ’90, epoca in cui entravo praticamente nella mia adolescenza. Passavo le giornate a scuola a disegnare il lupetto di Gratton sul diario (e a volte, lo ammetto, anche sul banco), e sognavo di diventare un giorno come Rudi Voeller. Non vedevo l’ora che arrivasse la domenica, perché alle 15 iniziavano le partite e, dunque, scendeva in campo la “mia” Roma: quella squadra che riuscivo a vedere solo nelle foto in bianco e nero pubblicate dai giornali, in quei brevi spezzoni di partita che venivano trasmessi sulla Rai a 90esimo minuto, e in quell’album di figurine che, tuttavia, non mi regalò mai la gioia di completare la rosa della mia squadra del cuore.
Juventus Roma anni ’90
Ogni volta che il calendario della Serie A proponeva Juventus Roma iniziavo a prepararmi alla gara dalla settimana precedente: i bianconeri, per me, erano gli avversari numero uno (anche perché negli anni ’80 la Lazio disputava il campionato di Serie B, quindi in pratica non esisteva nei miei pensieri), quelli da battere, quelli contro cui era difficilissimo riuscire a fare risultato. Ma ogni volta, in ogni pre partita, le mie aspettative erano sempre le stesse: volevo vincere.
Tra l’86 e il ’90 la Roma incassò cinque sconfitte su cinque partite disputate a Torino contro la Juventus. Poco da dire, quella piemontese era chiaramente una trasferta proibitiva. Ma durava poco la delusione per quei ko, perché c’era una certezza che campeggiava nella mia testa e che non veniva mai scalfita: prima o poi sarebbe arrivata la vittoria anche a Torino, ne ero certo. E non perché la Roma avesse squadre così forti da permettersi di andare al delle Alpi e battere agilmente la Juventus, ma perché tenevo bene in mente che doveva arrivare quel momento in cui Davide butta giù Golia con un colpo ben assestato, e il mio ottimismo infantile viveva in costante attesa di quel giorno.
Ma il 20 febbraio 1991, finalmente, il mio ottimismo venne ripagato: la Roma espugnò il Delle Alpi di Torino, superò la Juventus e approdò in semifinale della coppa nazionale. Quel successo esterno nella gara di ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia, firmato dalle reti di Berthold e Rizzitelli, fu per me più importante della vittoria finale contro la Sampdoria, e la ragione fu una sola, specifica: mi confermò che i deboli non partono sempre battuti quando incontrano i forti, perché anche i deboli possono battere le corazzate. E mi lasciò un sapore così dolce in bocca che mi ripagò di tutte le micro delusioni delle sconfitte subite nelle gare precedenti, facendomi ringraziare ancora una volta mio padre per avermi fatto romano e romanista.